Da qualche mese a questa parte, c’è una questione che suscita grande interesse tra i professionisti della finanza, Youtuber e le più famose gallerie d’arte: gli NFT, acronimo per “Non Fungible Tokens”.
Per comprendere cosa sono gli NFT, è necessario preliminarmente partire dalla tecnologia che vi sta alla base, ovvero la blockchain.
In estrema sintesi, per blockchain si intende un database, quindi un insieme di dati organizzati secondo criteri determinati, costituito da “blocchi”, cioè sequenze di informazioni individualmente identificabili, che invece di essere immagazzinato in un unico server centrale è distribuito in repliche identiche sui terminali di chiunque abbia installato il relativo protocollo informatico.
Chi accede e partecipa alla blockchain, che è aperta e liberamente consultabile da chiunque, può vedere una serie di informazioni, espresse in forma di sequenze numeriche, che acquistano valore in quanto sono certe e pressoché inalterabili. Questo risultato è ottenuto attraverso diversi livelli di protezione, primo fra tutti il fatto che per alterare un singolo blocco è necessario “riprogrammare” in sequenza l’intera catena, il che è reso ancora più difficile dalla presenza di strumenti crittografici.
L’inalterabilità dei singoli blocchi di informazioni garantisce l’affidabilità delle transazioni che si realizzano scambiando i blocchi, senza la necessità di un ente esterno che le certifichi o approvi preventivamente.
È chiaro, dunque, perché questa tecnologia ha trovato un primo largo utilizzo nell’ambito della moneta elettronica: ogni transazione effettuata su blockchain viene infatti registrata nei singoli blocchi, senza timore di furti o manipolazioni e in perfetta trasparenza.
In questo contesto, gli NFT svolgono un’ulteriore funzione, cioè permettono di trasferire la certezza attribuibile ai singoli blocchi della blockchain a contenuti informatici di diversa natura, come immagini, video, GIF. Invece di scambiare qualcosa di simile ad una moneta, che esprime un certo valore ma che può essere scambiata indifferentemente, grazie agli NFT è possibile trasferire un bene appunto infungibile (si pensi ad un pezzo da collezione).
È evidente il vantaggio che può avere una tecnologia che elimina la necessità di lunghi controlli per stabilire l’autenticità di un’informazione o contenuto digitale, soprattutto se si considera l’importanza che tuttora rivestono le banche dati digitali gestite da enti pubblici.
Perciò, alcuni artisti affermati e altri soggetti notori hanno iniziato a mettere in vendita sulle piattaforme digitali a ciò dedicate propri video, creazioni artistiche di vario genere e perfino semplici tweet, “trasformandoli” in NFT.
Il riscontro del pubblico è andato oltre ogni aspettativa, permettendo di realizzare ingenti ricavi, talvolta anche milionari[1]. In cambio, gli acquirenti hanno acquisito la titolarità di quel frammento di video, immagine etc..
Gli NFT sembrano quindi introdurre un nuovo orizzonte di possibilità per il mondo della produzione artistica, perché sono in grado di garantire nel mondo digitale, che per sua stessa definizione è un mondo di copie identiche e riproducibili a piacimento, l’esistenza di un unico originale inalterabile nel tempo.
Grazie agli NFT, i creatori di contenuti dispongono quindi di una fonte di guadagno e di uno strumento di facile utilizzo che permette loro di dimostrare la paternità delle proprie opere e allo stesso tempo di trasferirne il diritto di titolarità in capo ad altri soggetti.
Un ambito in cui gli NFT vengono già utilizzati è quello del gaming online, dove viene reso possibile ai giocatori acquistare armi o altri oggetti “unici” da utilizzare o scambiare durante l’attività di gioco. Ma è ragionevole ipotizzarne un ampio utilizzo anche nel diritto industriale, basti pensare alla possibilità di utilizzare tale strumento per dimostrare il preuso di una macchina industriale e invalidare un brevetto altrui, trasformando in NFT il relativo video di YouTube che costituisce la prova inalterabile e inattaccabile della divulgazione anteriore del macchinario sul mercato.
Vi sono però alcuni profili da approfondire e tenere in considerazione per quanto concerne tali strumenti.
Innanzitutto, l’autenticità e la titolarità del contenuto degli NFT si basano a loro volta su dichiarazioni dei soggetti interessati, che in linea di principio dovrebbero esserne gli autori o comunque i titolari, ovvero i licenziatari, dei diritti di sfruttamento economico dell’opera. Allo stato, quindi, a garantire la trasparenza circa tale effettiva titolarità, chiedendo agli utenti di registrarsi, sono le piattaforme che permettono di eseguire le transazioni, ma in linea teorica chiunque potrebbe creare un NFT che incorpori un contenuto digitale di titolarità altrui. Non vi è dunque alcuna attività di verifica a monte sull’effettiva titolarità del bene che l’utente intende trasferire mediante gli NFT. Circostanza dalla quale potrebbero scaturire contenziosi circa l’effettiva proprietà del contenuto trasferito.
Appare inoltre necessario che venga da subito chiarito il regime fiscale cui sono soggetti tali strumenti (specie per quanto concerne le eventuali plusvalenze ottenute dalle successive vendite tramite NFT), prima che diventino uno strumento di largo utilizzo nel mondo artistico.
Infine, va considerato un ulteriore profilo che riguarda segnatamente i diritti dei consumatori ed infatti quest’ultimi, dopo aver effettuato l’acquisto, non hanno la possibilità di tornare sui propri passi esercitando il diritto di ripensamento che, come noto, è previsto per gli acquisti effettuati a distanza (tra i quali rientrano naturalmente quelli online).
A parere di scrive, aldilà dell’euforia – a tratti propriamente speculativa – che si è creata attorno a questi nuovi strumenti, gli NFT rappresentano effettivamente una potenziale svolta nella nostra vita ed in particolare con riferimento a tutti quei servizi e beni che presuppongono e necessitano di una certificazione dell’autenticità delle informazioni e contenuti digitali, quali ad esempio titolarità, provenienza, diritti di utilizzo temporaneo.
Tuttavia, perché questo strumento diventi largamente utilizzato, è necessario, da una parte, che le piattaforme introducano e garantiscano un sistema efficiente di controllo circa la titolarità del bene ceduto per evitare possibili dispute in merito e, dall’altra, che il legislatore “scenda” in campo per introdurre specifiche garanzie per l’acquirente (quale appunto il diritto di ripensamento) e comunque una disciplina organica ad hoc (che preveda, tra le altre cose, un trattamento fiscale adeguato alle caratteristiche dello strumento).
[1] Famoso il caso dell’artista Beeple, che ha venduto attraverso la casa d’asta Christie’s la propria opera “Everydays: The First 5000 Days” al prezzo di oltre 69 milioni di USD, oppure quello di Jack Dorsey, il fondatore di Twitter, che ha venduto il primo tweet della storia per 2,9 milioni di USD.