Il 9 Dicembre 2020 l’Autorità Garante della concorrenza e del mercato, tra le altre cose, ha irrogato una sanzione pari complessivamente alla somma di 10 milioni di euro nei confronti delle società HP Inc e HP Italy S.r.l. (di seguito “HP) per due differenti pratiche commerciali relative alle stampanti a marchio HP ritenute scorrette. Per il testo integrale del provvedimento si veda il seguente link https://www.agcm.it/dotcmsdoc/allegati-news/PS11144_chiusura.

In primo luogo, l’Autorità ha sanzionato le società in questione per non aver correttamente informato i clienti della installazione nelle stampanti di un software che permetteva di stampare solo con toner e cartucce HP, mentre non consentiva la stampa in caso di utilizzo di ricariche non originali.

La seconda condotta ritenuta sanzionabile dall’AGCM consisteva invece nella registrazione, tramite firmware presenti sulle stampanti HP e all’insaputa dei consumatori, dei dati relativi alle specifiche cartucce utilizzate (originali e non): tali dati venivano utilizzati sia per creare un database utile per formulare le proprie strategie commerciali, sia per negare l’assistenza per le stampanti che avessero utilizzato cartucce non originali, ostacolando così lo sfruttamento della garanzia legale di conformità.

Proprio con riferimento a quest’ultimo comportamento, è interessante notare come si tratti di un caso di uso distorto del c.d. “Internet of Things”. Con questa espressione si intende infatti “la rete di oggetti fisici contenenti tecnologia incorporata per comunicare e rilevare o interagire con i loro stati interni o l’ambiente esterno.” (Gartner).

Sebbene nel caso in esame la tecnologia utilizzata da HP si limiti ad una raccolta delle sole informazioni relative all’utilizzo delle stampanti, è chiaro però che la diffusione di oggetti in grado di registrare e trasmettere dati riguardo ai nostri comportamenti quotidiani potrebbe assumere risvolti inquietanti. La preoccupazione nasce non solo dall’eventualità che la raccolta di dati avvenga a nostra insaputa, ma anche e soprattutto dagli utilizzi e dagli scopi che spingono le aziende ad acquisire tali dati.

Naturalmente, non possono di certo ignorarsi i risvolti positivi che un flusso costante di informazioni da parte degli oggetti potrebbe fornire, ad esempio, dal punto di vista dell’efficienza e miglioramento delle catene produttive, nonché dei sistemi di sicurezza per i cittadini (si pensi ai “semafori intelligenti”). Tuttavia, casi come quello preso in esame dall’AGCM ci inducono a riflettere sull’eventualità che queste tecnologie possano limitare eccessivamente i diritti dei consumatori.

Dal caso in esame è dunque possibile trarre alcuni insegnamenti e riflessioni e cioè che innanzitutto, prima di procedere con l’acquisto, è certamente consigliabile acquisire il maggior numero di informazioni possibili sulla tipologia di sensori e rilevatori eventualmente incorporati negli oggetti che intendiamo comprare e soprattutto appurare quale sarà l’utilizzo dei dati acquisiti da tali dispositivi.

In seconda battuta, è certamente opportuno domandarsi entro quali limiti l’utilizzo di tali dispositivi “intelligenti” possa favorire l’innovazione e il miglioramento della società e quando, invece, vada a ledere e comprimere i diritti dei consumatori, intesi sia come diritti ad essere informati sia come i diritti basilari riconosciuti a seguito di un acquisto di un prodotto (si pensi alle limitazioni all’esercizio della garanzia legale di cui si è detto sopra).