Recentemente si è sentito parlare molto di Chat GPT, acronimo di Chat Generative Pre-trained Transformer, un particolare chatbot sviluppato da OpenAI, società di ricerca impegnata nello sviluppo e nell’evoluzione dell’intelligenza artificiale.

Chat GPT è stata presentata al pubblico come un “friendly Ai o Fai” (un tipo di intelligenza artificiale “amichevole”), vale a dire un’intelligenza capace di contribuire al bene dell’umanità. Nonostante ciò, il suo utilizzo ha destato non poche preoccupazioni e critiche da parte di molti, con delle implicazioni importanti soprattutto sotto il profilo della proprietà intellettuale.

Infatti, grazie alla sua avanzata tecnologia di apprendimento automatico, denominata Deep Learning, Chat GPT è capace di generare il testo in maniera autonoma, imitando il linguaggio umano. In tal modo, esso può essere impiegato non solo per rispondere brevemente alle domande, ma anche per la scrittura automatica di un testo.

Specificatamente, Chat GPT è in grado di creare testi ex novo su richiesta dell’utente, ma anche di elaborare riassunti o documenti partendo da opere già esistenti e quindi di proprietà altrui.

Tuttavia, l’attuale assenza di una specifica regolamentazione circa il suo utilizzo rischia di mettere a repentaglio il copyright dei contenuti “creati” da Chat GPT: da un lato incrementando significativamente i casi di copiatura e plagio e, dall’altro lato, rendendo più complessa per il titolare del diritto d’autore la difesa dei propri diritti.

Per comprendere appieno la problematica poc’anzi esposta, bisogna innanzitutto considerare che, ai sensi della legge sul diritto d’autore, l’idea in quanto tale non può essere protetta, bensì solo la sua forma di espressione (quindi, nel caso di Chat GPT, il testo creato).

Bisogna altresì considerare che una volta riconosciuta la paternità di un testo o opera, ne è vietata qualsiasi riproduzione impropria, compresa la copiatura integrale, la sua parafrasi e a volte anche la sua rielaborazione mediante l’impiego di altre e diverse parole, quando le differenze appaiano minime e di lieve rilevanza. In buona sostanza, il plagio sussiste in caso di riproduzione parziale dell’opera nonché, sulla base di una recente giurisprudenza della Cassazione, anche in caso di “plagio evolutivo”, vale a dire quando l’opera “nuova” non può essere semplicemente considerata ispirata all’originale poiché le differenze, meramente formali, la rendono un’abusiva ed una rielaborazione non autorizzata di quest’ultima.

È utile inoltre precisare che, per costante giurisprudenza, affinché possa ravvisarsi una violazione del diritto di autore, gli elementi ritenuti essenziali di un’opera originale non devono essere ripresi e quindi essere coincidenti con quelli dell’opera frutto di trasposizione.

Pur in assenza di specifica regolamentazione sul punto, è ragionevole sostenere che i suddetti principi trovino applicazione anche con riguardo ai testi generati da Chat GPT, perché il suo o l’utilizzo di qualsiasi altra forma di intelligenza artificiale non può di certo derogare alle norme della legge sul diritto d’autore. Di conseguenza bisogna prestare molta attenzione laddove si richieda a Chat GPT di riassumere o parafrasare un testo altrui, in quanto, se questi sono diffusi senza il permesso dell’autore originario, quest’ultimo potrebbe richiedere il pagamento dei diritti di riproduzione, oltre il risarcimento del danno eventualmente causato. Sotto questo profilo, è lecito domandarsi se non sia il caso che sia lo stesso sistema di intelligenza artificiale a rifiutare una tale richiesta qualora rischi di violare diritti altrui.

Va poi considerata un’altra ipotesi che potrebbe configurarsi e cioè qualora il testo predisposto ex novo da Chat GPT sia meritevole di tutela ai sensi del diritto d’autore. In questo caso, la domanda da porsi è se possano essere riconosciuti diritti d’autore in capo a Chat GPT.

Per rispondere a tale quesito, bisogna innanzitutto considerare che ai sensi della legge italiana i sistemi di intelligenza artificiale sono privi di personalità giuridica, motivo per cui essi non possono essere titolari di alcun diritto, incluso quelli d’autore. Questo sembra essere altresì confermato dalla legge sul diritto d’autore che, nell’elencare i soggetti nei cui confronti essa può essere trovare applicazione, non cita alcun prodotto di intelligenza artificiale, tantomeno Chat GPT. E non potrebbe essere altrimenti atteso che si tratta di una legge del lontano 1941.

Di conseguenza, perché un’opera di Chat GPT sia ritenuta meritevole di protezione ai sensi della legge sul diritto d’autore deve necessariamente ravvisarsi un contributo creativo di una persona fisica che, allo stato, pare tuttavia mancare.

In conclusione, l’assenza di una normativa ad hoc che disciplini l’utilizzo di Chat GPT espone a seri rischi di violazione di opere altrui e mette così a repentaglio i diritti degli autori. Questo anche in quanto non pare che Chat GPT allo stato abbia adottato sistemi di verifica e controllo idonei ad evitare violazione dei diritti altrui.

Visto l’utilizzo sempre più massiccio di questa nuova tecnologia e i dubbi poc’anzi discussi, chi scrive auspica che il legislatore disciplini al più presto tale fenomeno in modo da definirne in maniera chiara il perimetro e gli eventuali diritti (diritti che non sembra possano essere riconosciuti in favore di Chat GPT).

Si confida inoltre che Chat GPT riesca presto ad implementare sistemi efficaci di controllo e segnalazione per la protezione dei diritti di proprietà intellettuale, i quali con ogni probabilità necessiteranno dell’aiuto e dell’assistenza proprio dei titolari dei diritti (al pari di quanto accade per la piattaforma Amazon), ma che potrebbero concretamente salvaguardare le opere creative altrui.