Ambush Marketing: l’evoluzione e le incertezze in vista di Milano Cortina 2026

In occasione di eventi di un certo rilievo mediatico, di solito di natura sportiva, le imprese che sono solite investire in pubblicità si contendono partnership commerciali con l’organizzatore dell’evento, sostenendo sì ingenti investimenti ma aspettandosi anche un buon ritorno economico e d’immagine.

Chiaro è che, in virtù dei più basilari principi della concorrenza, è comunque consentito anche alle aziende che non hanno raggiunto (o semplicemente non hanno voluto) alcun accordo di partnership commerciale con l’organizzatore, di pubblicizzare i propri prodotti anche alludendo all’evento (c.d. “smart marketing” o “real time marketing”). Tali iniziative promozionali incontrano tuttavia un limite e diventano illecite qualora l’impresa si sostituisca agli occhi del pubblico allo sponsor o al licenziatario ufficiale, danneggiando così non solo l’impresa che ha investito per assicurarsi la partnership ma anche l’organizzazione dell’evento che è costretto conseguentemente ad abbassare i corrispettivi delle licenze e delle sponsorizzazioni per renderle più allettanti.

In questi casi si parla di “Ambush Marketing”, tema più che mai attuale visto l’avvicinarsi delle Olimpiadi Invernali Milano Cortina 2026. Come sempre, quando si tratta di grandi eventi sportivi, gli Stati coinvolti nell’organizzazione provvedono a disciplinare gli aspetti più spinosi con normative ad hoc; il Governo italiano, per l’occasione, ha emanato il d.l. n. 16/2020 (c.d. “Decreto Ambush Marketing”), convertito dalla legge n. 31/2020, che ha portata generale e non è limitato ai soli Giochi Olimpici del 2026.

In merito a tale pratica commerciale, bisogna innanzitutto precisare che ad oggi non esiste una precisa definizione normativa di ambush marketing; tale espressione ha origine anglosassone ed è stata coniata per la prima volta da Jerry Welsh in occasione dei Giochi olimpici di Los Angeles del 1984, quando la multinazionale statunitense Kodak decise di sponsorizzare programmi televisivi relativi alle Olimpiadi, accreditandosi al pubblico come sponsor ufficiale dell’evento pur non essendolo, a differenza della concorrente Fujifilm.

Con tale espressione ci si riferisce dunque a tutte quelle situazioni in cui un’impresa tenta di sfruttare a proprio vantaggio un evento che ha particolare visibilità, senza essere tuttavia legata all’organizzazione dell’evento.

Talvolta il c.d. ambusher si presenta come sponsor o licenziatario ufficiale dell’evento attraverso l’uso di segni, simboli, marchi ad esso riconducibili. In Italia, è stato il Tribunale di Venezia nel 2005 a riconoscere per la prima volta questo illecito, inibendo alla celebre azienda veneta Benetton l’uso del termine “olympic” sui propri capi di abbigliamento introdotto guarda caso in prossimità dei Giochi Olimpici invernali Torino 2006.

Le modalità con cui si concretizza l’ambush marketing sono però numerose e solo raramente si spingono al punto di richiamare espressamente i segni distintivi (di solito noti) riconducibili all’evento. Più sovente l’ambush marketing si manifesta in modo indiretto e velato e si realizza attraverso l’intensificazione da parte di un’azienda degli investimenti pubblicitari in concomitanza, o in prossimità, della manifestazione, al fine di diluire la sponsorizzazione ufficiale dell’evento ottenuta dal concorrente. Ad esempio, durante i Giochi Olimpici di Atlanta del 1996 Nike invece di pagare i circa 50 milioni di dollari richiesti dall’organizzazione per la sponsorizzazione, creò un imponente punto vendita nelle vicinanze degli impianti sportivi e ricoprì gli stadi delle sue pubblicità, lasciando così intendere, ingannevolmente, di essere uno degli sponsor ufficiali dell’evento. Nella primavera del 2022 l’AGCM ha invece sanzionato Zalando, che non era sponsor degli UEFA EURO 2020, per aver esposto nel corso della manifestazione e in prossimità del Football Village un enorme cartellone pubblicitario, riportante la scritta “Chi sarà il vincitore?” e le bandiere dei Paesi partecipanti, facendo così sfacciatamente riferimento all’evento e insinuando il dubbio nel pubblico circa l’esistenza di un rapporto commerciale con l’organizzatore UEFA, in realtà inesistente.

Anche la sponsorizzazione di un evento concomitante all’evento principale può rappresentare una forma di ambush marketing. Sempre Nike nel 2008 organizzò, in contemporanea con le Olimpiadi estive di Pechino 2008, la “Nike + Human Race 2008”, una gara di running tenutasi contestualmente in 25 Paesi a scopo di beneficenza ma che aveva il malizioso intento di promuovere l’azienda agganciandosi parassitariamente ai Giochi Olimpici.

Un'altra forma di ambush marketing viene realizzata attraverso iniziative pubblicitarie a sorpresa nel corso o in prossimità della manifestazione. In questo caso lo scopo dell’ambusher non è quello di far credere di avere rapporti commerciali con l’organizzazione dell’evento, ma esclusivamente quello di far parlare di sé. È il caso di Pringles, che durante Wimbledon 2009, pur non essendo sponsor, distribuì fuori dalla sede del torneo confezioni recanti la scritta “These Are Not Tennis Balls”, giocando simpaticamente sulla somiglianza tra il tubo di patatine e quello contenente le palline da tennis e ottenendo così un grande ritorno in termini d’immagine.

Vi è infine una condotta che a prima vista potrebbe sembrare “un’imboscata pubblicitaria” ma che in realtà è una condotta lecita e non lesiva degli altrui diritti e cioè qualora venga creata un’associazione indiretta con l’evento, ad esempio attraverso campagne pubblicitarie in cui compaiono personaggi noti che vi hanno partecipato in precedenza. Significativo a questo proposito è il caso “Lay’s”, azienda di patatine che in occasione dei Mondiali di Calcio del 2014 ha reclutato come testimonial i calciatori Fabio Cannavaro e Lionel Messi, malgrado lo sponsor ufficiale della Nazionale Italiana di calcio, a quei tempi, fosse la concorrente San Carlo. Né l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria né il Tribunale di Torino hanno tuttavia ritenuto di sanzionare la condotta illecita nel caso in parola. Coerentemente con tale decisione, la normativa emanata per Milano Cortina 2026 fa infatti espressamente salve le condotte realizzate in esecuzione di contratti di sponsorizzazione conclusi con singoli atleti, squadre o partecipanti a uno degli eventi.

Alla luce della casistica analizzata, c’è dunque da domandarsi fino a che punto possa spingersi un’impresa nel reclamizzare i propri prodotti in occasione di eventi di grande risonanza mediatica. La mancanza di una chiara definizione di ambush marketing e la genericità dei criteri individuati dai giudici rendono ad oggi difficile individuare in maniera precisa il perimetro entro cui una società può muoversi lecitamente e rendere prevedibile ed evitabile la realizzazione di imboscate pubblicitarie. Né tantomeno il Decreto Ambush Marketing più volte citato risolve tale problematica.

In conclusione, al fine di tutelare adeguatamente gli investimenti sostenuti dalle imprese nel corso di tali eventi ed evitare spiacevoli sorprese, si auspica che il legislatore riesca presto a fornire una definizione normativa del c.d. ambush marketing e individui con chiarezza i presupposti per la sua configurabilità.

Ad ogni modo, ad oggi non c’è ancora stata alcuna imboscata alle Olimpiadi Invernali 2026. Staremo a vedere!