Diritti di immagine e diffusione nell'era digitale
Durante un concerto dei Coldplay al Gillette Stadium di Boston, la “kiss cam” - un format comune negli eventi sportivi e musicali che riprende coppie tra il pubblico invitandole a baciarsi – ha inquadrato un uomo e una donna abbracciati tra loro, i quali, colti di sorpresa, si sono immediatamente nascosti, destando la curiosità di tutti i presenti e alimentando fin da subito il dubbio che fossero amanti.
La scena, proiettata in diretta sul maxischermo e prontamente ripresa dagli spettatori con i loro smartphone, è diventata virale nel giro di poche ore, generando un’ondata di commenti ironici e di speculazioni sulla vita privata dei protagonisti.
Nei giorni seguenti, si è diffusa la voce che uno dei protagonisti stesse valutando di intentare un’azione legale contro gli organizzatori dell’evento per averlo accidentalmente “smascherato” durante il concerto.
Prendendo spunto da questo evento, è lecito domandarsi se una tale azione legale promossa da parte dei protagonisti dell’accaduto abbia un fondamento giuridico ai sensi della legge italiana.
Più specificamente, la domanda da porsi è se sia lecito riprodurre l’immagine di una persona ad un evento, quale appunto un concerto. Ed ancora, se sia lecita la conseguente diffusione sul web del video raffigurante l’immagine di tale persona ripreso da uno spettatore terzo.
Per rispondere a tali quesiti, bisogna anzitutto partire dal diritto all’immagine che in Italia è protetto da più fonti normative e che è riconosciuto quale diritto fondamentale della persona.
A tal proposito, vale certamente la pena menzionare l’art. 10 del codice civile a mente del quale è vietata qualsiasi esposizione, riproduzione o pubblicazione dell’immagine o ritratto di una persona senza il consenso dell’interessato.
Non meno rilevante è l’art. 96 della Legge sul Diritto d’Autore che statuisce il divieto di riproduzione di un ritratto di una persona senza il consenso di questa, fatto salvo i seguenti casi previsti dal successivo art. 97 per i quali non è necessario ottenere il consenso dell’interessato:
- quando la riproduzione dell’immagine è giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali;
- quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico (incluso concerti).
In tutti questi casi, l’interesse alla libera manifestazione del pensiero e all’informazione prevale sul diritto personale dell’individuo, purché la riproduzione dell’immagine non leda la dignità, reputazione o decenza della persona ritratta.
Per quanto riguarda i concerti, vi è poi un’ulteriore precisazione da fare e cioè che il soggetto ritratto dovrebbe essere parte della massa di spettatori e non ben identificabile né in primo piano, potendo quest’ultimo caso configurare una violazione della sfera privata, soprattutto se veicolata tramite mezzi di diffusione quali siti web e social media.
Non va infine dimenticato che l’immagine del volto di una persona, se identificata o identificabile anche solo nel contesto dell’evento, è un dato personale ai sensi dell’art. 4 GDPR. Ne deriva che, in assenza del consenso della persona ritratta, chi diffonde l’immagine diventa titolare del trattamento illecito e può essere chiamato a rispondere degli eventuali danni arrecati.
Per ovviare a tali problematiche e per non violare alcuna delle norme sopra menzionate, le società che si occupano della vendita dei biglietti per eventi solitamente prevedono nelle loro condizioni di vendita specifiche clausole mediante le quali viene previsto che con l’acquisto del biglietto il soggetto presta il proprio consenso alla riproduzione della sua immagine e quindi ad essere fotografato, filmato e inquadrato su maxischermi, trasmissioni o clip promozionali.
Ovvero in alternativa, gli organizzatori dell’evento sono soliti affiggere all’ingresso informative ben visibili che chiariscono le modalità di utilizzo delle immagini registrate durante l’evento.
Dunque, in assenza di tali previsioni contrattuali che il soggetto interessato accetta al fine di partecipare all’evento ovvero di apposite informative esposte all’ingresso, l’eventuale riproduzione dell’immagine di un soggetto durante lo stesso è da ritenersi illegittima.
In una vicenda simile a quella in esame, la Corte di Cassazione con ordinanza del 25 novembre 2021, n. 36754, condannò l’etichetta musicale Sony a versare una somma di 40.000,00 euro a titolo di risarcimento ad una donna che, durante la registrazione del videoclip di un noto cantante, venne ripresa in strada in compagnia dell’amante. Il DVD contenente il video in questione era stato oggetto di ampia divulgazione tale da rendere di pubblico dominio la relazione extra-coniugale della signora che aveva successivamente richiesto il risarcimento del danno subito.
L’etichetta musicale venne ritenuta responsabile di non aver acquisito il consenso alla registrazione e diffusione dell’immagine in questione e di non aver segnalato, tramite appositi cartelloni, che in quell’area erano in corso delle registrazioni.
Chiarito tale primo aspetto che riguarda soprattutto i profili di responsabilità attinenti all’organizzatore dell’evento / concerto, vi è però un ulteriore e più importante aspetto da analizzare e cioè l’eventuale diffusione dell’immagine da parte di terzi partecipanti all’evento; difatti, il consenso prestato al momento dell’ingresso mediante l’accettazione delle condizioni contrattuali poc’anzi citate non si estende alla diffusione delle immagini da parte di terzi.
Da qui deriva la reale criticità dell’intera vicenda e cioè la successiva massiva diffusione del video online raffigurante le immagini dei protagonisti dell’accaduto senza il loro consenso e autorizzazione. Il tutto in violazione delle sopra citate norma di cui all’art. 10 del codice civile, art. 96 della legge sul diritto d’autore, nonché dell’art. 4 del GDPR.
Con conseguente diritto dei protagonisti di questa vicenda di agire in giudizio nei confronti dei soggetti responsabili di aver illegittimamente pubblicato e diffuso le immagini in questione, chiedendone la rimozione ai sensi dell’art. 17 GDPR (che sancisce il diritto all’oblio), oltre al risarcimento per i danni subiti.
Tuttavia, tale azione risulta difficilmente esercitabile da parte dei soggetti lesi, essendo praticamente impossibile individuare il soggetto responsabile della riproduzione non autorizzata dell’immagine sul web al fine di richiedere il risarcimento dei danni subiti.
Non a caso il Codacons ha recentemente chiesto di vietare in tutta Italia l’utilizzo delle Kiss cam durante concerti ed eventi pubblici, al fine di evitare la diffusione incontrollata di immagini e vista la difficoltà nel rintracciare un responsabile tra migliaia di persone armate di smartphone.
In conclusione, la ripresa di persone tramite strumenti come la “kiss cam”, amplificata dalla viralità dei social, dimostra come un format di intrattenimento apparentemente innocuo possa innescare problematiche giuridiche di una certa complessità.
Se da un lato l’acquisto di un biglietto spesso implica un tacito consenso ad essere parte del pubblico ripreso, dall’altro la diffusione incontrollata di immagini sui social media solleva questioni etiche e legali di non poco rilievo.
In un’epoca in cui ogni immagine rischia di diventare contenuto virale, sarebbe auspicabile un intervento del legislatore volto a definire in maniera chiara i limiti ed il perimetro entro cui tale condivisione può ritenersi lecita.
I Ditigal Content Creators nel mondo dell'IP
Il settore della comunicazione e intrattenimento online ha subito una profonda rivoluzione negli ultimi anni grazie al crescente utilizzo della tecnologia, creando una serie di opportunità di lavoro tra le quali, per quanto qui d’interesse, la possibilità di creare contenuti digitali capaci di generare profitti. Non stupisce, dunque, che un numero sempre più elevato di giovani stia cercando di farsi spazio in questo settore nel tentativo di realizzare sulle diverse piattaforme un prodotto digitale unico e immediatamente riconoscibile dal pubblico del web.
Molti di questi giovani si autodefiniscono “digital content creators” (categoria in cui è possibile includere anche i cd. “influencers”), ossia, letteralmente, “creatori di contenuti digitali” con riguardo ai quali si intendono analizzare nel presente articolo alcuni aspetti relativi alla proprietà intellettuale.
I contenuti realizzati dai “digital content creators” sono proteggibili dalla legge sul diritto d’autore qualora dotati del requisito di creatività. In tale caso, ogni riproduzione e/o divulgazione non autorizzata di tale contenuto digitale da parte di terzi è espressamente vietata, salvo appunto vi sia l’espresso consenso da parte del “digital content creator” che solitamente viene rilasciato dietro pagamento di un corrispettivo monetario.
Ne deriva che il content creator è innanzitutto titolare dei diritti morali sul contenuto creato, intesi come il diritto di essere riconosciuti autore del medesimo; si badi che questi diritti sono inalienabili e irrinunciabili. Inoltre, lo stesso content creator è anche titolare dei diritti di sfruttamento economico del contenuto che sono viceversa cedibili, anche solo parzialmente.
Pensiamo, per esempio, ai numerosi contratti di sponsorizzazione stipulati tra aziende e content creator / influencer. Quest’ultimo, in base a tale contratto, si impegna a realizzare contenuti digitali, siano essi foto, post, stories o video, attraverso i quali promuovere i prodotti e i servizi di un determinato brand. Tutto questo a fronte del pagamento di un corrispettivo monetario nonché, in certi casi, della cessione dei diritti patrimoniali su tali contenuti in favore dell’azienda, vale a dire il diritto di quest’ultima di poterli utilizzare e/o riprodurre per qualsiasi scopo e in qualsiasi forma senza incorrere in alcuna violazione.
Tale rapporto di collaborazione non è una novità ed infatti già in passato esisteva la cd. “celebrity marketing”, per cui sportivi, attori, cantanti o celebrità di altri settori, prestavano il loro volto e la loro immagine ad un’azienda diventandone il “brand ambassador”, ossia l’ambasciatore o il rappresentante di quel marchio. La differenza risiede ovviamente nel fatto che le figure scelte all’epoca per tale sponsorizzazione erano già famose per diversi meriti e dunque ciò che spesso spingeva l’utente ad acquistare il prodotto e/o servizio era la fama degli stessi piuttosto che la loro capacità promozionale. Nel caso della influencer marketing la situazione è totalmente diversa in quanto spesso i content creators non sono altrettanto famosi ed è proprio per questo che si instaura un rapporto di “fiducia” con l’utente in quanto la figura del “content creator” viene percepita come più “umana e accessibile”; inoltre, i content creators vengono scelti proprio per le loro abilità promozionali e dunque per la loro capacità di suggerire e influenzare i propri seguaci circa la scelta di un determinato prodotto e/o servizio. Ed è dunque grazie a tale capacità che il content creator può divenire una vera e propria celebrità.
Alla luce di tali considerazioni, si comprende dunque la centralità dell’immagine della figura di content creator / influencer nel mondo della comunicazione e intrattenimento che pertanto merita di essere protetta e tutelata.
Infatti, il diritto di immagine è un diritto assoluto della persona che non può essere in alcun modo lesionato, per cui sono generalmente vietate divulgazioni e/o riproduzioni di tale immagine senza il consenso dell’interessato. Tale regola subisce un’eccezione qualora l’immagine riguardi un personaggio noto e famoso in quanto in questo caso non sarebbe necessario il consenso della persona, salvo che la riproduzione e/o divulgazione dell’immagine comporti un pregiudizio alla reputazione o al decoro dell’interessato. Tuttavia, non è sempre agevole comprendere quando l’utilizzo dell’immagine sia giustificata dalla notorietà della persona ovvero quando tale uso costituisca invece un pregiudizio alla reputazione della stessa.
Tale ultimo aspetto dimostra come non sia sempre facile proteggere l’immagine di personaggi famosi, quali appunto i “content creators”, ed è per questo motivo che quest’ultimi spesso ricorrono a strumenti alternativi di tutela per la protezione della propria immagine. Uno di questi è quello di registrare il proprio nome quale marchio d’impresa in modo da impedire a terzi di poter sfruttare indebitamente la loro popolarità traendone un vantaggio economico, oppure, danneggiando la loro reputazione.
Ad ulteriore conferma di quanto sopra, anche la recente giurisprudenza ha negato la possibilità ai personaggi notori di tutelare la propria immagine come un’opera intellettuale, privandoli di fatto di un ulteriore strumento di difesa in loro favore.
È la conseguenza della sentenza n. 219/2/2023 della Corte di Giustizia Tributaria (CGT) di secondo grado del Piemonte pronunciata nei confronti del calciatore Cristiano Ronaldo che, oltre ad essere conosciuto come atleta e come uno dei giocatori più pagati al mondo, ha sfruttato negli anni la sua popolarità, la sua immagine e le sue iniziali (CR7) per generare nuovi introiti economici, rientrando nella celebrity/influencer marketing.
Il giocatore, che all’epoca svolgeva la sua attività calcistica presso il club di calcio italiano Juventus, aveva chiesto di poter accedere a un regime fiscale agevolato, previsto dall’articolo 24-bis del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR). Tale normativa era stata introdotta con l’obiettivo di incentivare i cittadini stranieri, soprattutto i più facoltosi, a trasferire la loro residenza nel nostro territorio e a tale scopo aveva previsto un regime forfettario fisso per tutti i neo-residenti, ma solo in relazione ai loro redditi di fonte estera.
Cristiano Ronaldo riteneva di poter accedere a tale regime agevolato previsto dal TUIR, considerando i profitti originati con lo sfruttamento della sua immagine, ossia con la celebrity/influencer marketing, separati rispetto a quelli derivanti dall’attività calcistica che in quel momento stava svolgendo in Italia. Tuttavia, la Corte di Giustizia Tributaria (CGT) di Secondo Grado del Piemonte negava la possibilità per CR7 di applicare l’articolo 24-bis TUIR.
Secondo la Corte, infatti, l’immagine di qualsiasi persona dovrebbe essere tutelata solo come qualità personale del soggetto, non potendo costituire di per sé il prodotto di un’opera autonoma intellettuale, in considerazione del fatto che la notorietà potrebbe originarsi, come abbiamo già detto, da un’attività o dote artistica o professionale, o anche dalla semplice capacità di una persona di promuovere la propria immagine sui social network e sulle altre piattaforme digitali. Il diritto d’immagine, in sostanza, non può prescindere dalla persona a cui è collegata, né tanto meno dalla sua vita e dalla sua attività lavorativa. Dunque, i profitti derivanti dallo sfruttamento del diritto di immagine di Cristiano Ronaldo non potevano essere separati da quelli derivanti dall’attività sportiva, essendo direttamente e intrinsecamente connessi.
Al di là delle implicazioni fiscali di questa decisione, tale pronuncia ha generato delle conseguenze rilevanti per tutto il settore della celebrity/influencer marketing. Infatti, come abbiamo già detto, gli influencers sono i soggetti più sensibili e i più esposti alla violazione e alla lesione del proprio diritto d’immagine. Per tale ragione, in assenza di una normativa specifica, negli anni essi hanno cercato di trovare escamotage e di avvalersi di altri strumenti di protezione, spesso affidandosi al diritto d’autore e al codice della proprietà industriale. Tuttavia, negando la qualifica di opera intellettuale al diritto di immagine, la Corte di Giustizia Tributaria del Piemonte ha così privato i content creators anche di questo mezzo di tutela, generando una lacuna normativa nel settore dell’intrattenimento e della comunicazione.
Infatti, non si può negare che l’immagine dei sempre più numerosi influencers consiste in un vero e proprio strumento di lavoro che, se danneggiato, potrebbe provocare danni non solo morali ma anche economici, impedendo o rendendo difficile la loro attività lavorativa.
Dunque, se la disciplina del diritto d’autore non può essere estesa per attuare una concreta tutela dell’immagine di questi soggetti, ci si domanda se il legislatore interverrà al fine di introdurre nuovi e specifici strumenti di difesa a favore di tutti coloro che operano nella celebrity/influencer marketing.