I Ditigal Content Creators nel mondo dell'IP

Il settore della comunicazione e intrattenimento online ha subito una profonda rivoluzione negli ultimi anni grazie al crescente utilizzo della tecnologia, creando una serie di opportunità di lavoro tra le quali, per quanto qui d’interesse, la possibilità di creare contenuti digitali capaci di generare profitti. Non stupisce, dunque, che un numero sempre più elevato di giovani stia cercando di farsi spazio in questo settore nel tentativo di realizzare sulle diverse piattaforme un prodotto digitale unico e immediatamente riconoscibile dal pubblico del web.

Molti di questi giovani si autodefiniscono “digital content creators” (categoria in cui è possibile includere anche i cd. “influencers”), ossia, letteralmente, “creatori di contenuti digitali” con riguardo ai quali si intendono analizzare nel presente articolo alcuni aspetti relativi alla proprietà intellettuale.

I contenuti realizzati dai “digital content creators” sono proteggibili dalla legge sul diritto d’autore qualora dotati del requisito di creatività. In tale caso, ogni riproduzione e/o divulgazione non autorizzata di tale contenuto digitale da parte di terzi è espressamente vietata, salvo appunto vi sia l’espresso consenso da parte del “digital content creator” che solitamente viene rilasciato dietro pagamento di un corrispettivo monetario.

Ne deriva che il content creator è innanzitutto titolare dei diritti morali sul contenuto creato, intesi come il diritto di essere riconosciuti autore del medesimo; si badi che questi diritti sono inalienabili e irrinunciabili. Inoltre, lo stesso content creator è anche titolare dei diritti di sfruttamento economico del contenuto che sono viceversa cedibili, anche solo parzialmente.

Pensiamo, per esempio, ai numerosi contratti di sponsorizzazione stipulati tra aziende e content creator / influencer. Quest’ultimo, in base a tale contratto, si impegna a realizzare contenuti digitali, siano essi foto, poststories o video, attraverso i quali promuovere i prodotti e i servizi di un determinato brand. Tutto questo a fronte del pagamento di un corrispettivo monetario nonché, in certi casi, della cessione dei diritti patrimoniali su tali contenuti in favore dell’azienda, vale a dire il diritto di quest’ultima di poterli utilizzare e/o riprodurre per qualsiasi scopo e in qualsiasi forma senza incorrere in alcuna violazione.

Tale rapporto di collaborazione non è una novità ed infatti già in passato esisteva la cd. “celebrity marketing”, per cui sportivi, attori, cantanti o celebrità di altri settori, prestavano il loro volto e la loro immagine ad un’azienda diventandone il “brand ambassador”, ossia l’ambasciatore o il rappresentante di quel marchio. La differenza risiede ovviamente nel fatto che le figure scelte all’epoca per tale sponsorizzazione erano già famose per diversi meriti e dunque ciò che spesso spingeva l’utente ad acquistare il prodotto e/o servizio era la fama degli stessi piuttosto che la loro capacità promozionale. Nel caso della influencer marketing la situazione è totalmente diversa in quanto spesso i content creators non sono altrettanto famosi ed è proprio per questo che si instaura un rapporto di “fiducia” con l’utente in quanto la figura del “content creator” viene percepita come più “umana e accessibile”; inoltre, i content creators vengono scelti proprio per le loro abilità promozionali e dunque per la loro capacità  di suggerire e influenzare i propri seguaci circa la scelta di un determinato prodotto e/o servizio. Ed è dunque grazie a tale capacità che il content creator può divenire una vera e propria celebrità.

Alla luce di tali considerazioni, si comprende dunque la centralità dell’immagine della figura di content creator / influencer nel mondo della comunicazione e intrattenimento che pertanto merita di essere protetta e tutelata.

Infatti, il diritto di immagine è un diritto assoluto della persona che non può essere in alcun modo lesionato, per cui sono generalmente vietate divulgazioni e/o riproduzioni di tale immagine senza il consenso dell’interessato. Tale regola subisce un’eccezione qualora l’immagine riguardi un personaggio noto e famoso in quanto in questo caso non sarebbe necessario il consenso della persona, salvo che la riproduzione e/o divulgazione dell’immagine comporti un pregiudizio alla reputazione o al decoro dell’interessato. Tuttavia, non è sempre agevole comprendere quando l’utilizzo dell’immagine sia giustificata dalla notorietà della persona ovvero quando tale uso costituisca invece un pregiudizio alla reputazione della stessa.

Tale ultimo aspetto dimostra come non sia sempre facile proteggere l’immagine di personaggi famosi, quali appunto i “content creators”, ed è per questo motivo che quest’ultimi spesso ricorrono a strumenti alternativi di tutela per la protezione della propria immagine. Uno di questi è quello di registrare il proprio nome quale marchio d’impresa in modo da impedire a terzi di poter sfruttare indebitamente la loro popolarità traendone un vantaggio economico, oppure, danneggiando la loro reputazione.

Ad ulteriore conferma di quanto sopra, anche la recente giurisprudenza ha negato la possibilità ai personaggi notori di tutelare la propria immagine come un’opera intellettuale, privandoli di fatto di un ulteriore strumento di difesa in loro favore.

È la conseguenza della sentenza n. 219/2/2023 della Corte di Giustizia Tributaria (CGT) di secondo grado del Piemonte pronunciata nei confronti del calciatore Cristiano Ronaldo che, oltre ad essere conosciuto come atleta e come uno dei giocatori più pagati al mondo, ha sfruttato negli anni la sua popolarità, la sua immagine e le sue iniziali (CR7) per generare nuovi introiti economici, rientrando nella celebrity/influencer marketing.

Il giocatore, che all’epoca svolgeva la sua attività calcistica presso il club di calcio italiano Juventus, aveva chiesto di poter accedere a un regime fiscale agevolato, previsto dall’articolo 24-bis del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR). Tale normativa era stata introdotta con l’obiettivo di incentivare i cittadini stranieri, soprattutto i più facoltosi, a trasferire la loro residenza nel nostro territorio e a tale scopo aveva previsto un regime forfettario fisso per tutti i neo-residenti, ma solo in relazione ai loro redditi di fonte estera.

Cristiano Ronaldo riteneva di poter accedere a tale regime agevolato previsto dal TUIR, considerando i profitti originati con lo sfruttamento della sua immagine, ossia con la celebrity/influencer marketing, separati rispetto a quelli derivanti dall’attività calcistica che in quel momento stava svolgendo in Italia.  Tuttavia, la Corte di Giustizia Tributaria (CGT) di Secondo Grado del Piemonte negava la possibilità per CR7 di applicare l’articolo 24-bis TUIR.

Secondo la Corte, infatti, l’immagine di qualsiasi persona dovrebbe essere tutelata solo come qualità personale del soggetto, non potendo costituire di per sé il prodotto di un’opera autonoma intellettuale, in considerazione del fatto che la notorietà potrebbe originarsi, come abbiamo già detto, da un’attività o dote artistica o professionale, o anche dalla semplice capacità di una persona di promuovere la propria immagine sui social network e sulle altre piattaforme digitali. Il diritto d’immagine, in sostanza, non può prescindere dalla persona a cui è collegata, né tanto meno dalla sua vita e dalla sua attività lavorativa. Dunque, i profitti derivanti dallo sfruttamento del diritto di immagine di Cristiano Ronaldo non potevano essere separati da quelli derivanti dall’attività sportiva, essendo direttamente e intrinsecamente connessi.

Al di là delle implicazioni fiscali di questa decisione, tale pronuncia ha generato delle conseguenze rilevanti per tutto il settore della celebrity/influencer marketing. Infatti, come abbiamo già detto, gli influencers sono i soggetti più sensibili e i più esposti alla violazione e alla lesione del proprio diritto d’immagine. Per tale ragione, in assenza di una normativa specifica, negli anni essi hanno cercato di trovare escamotage e di avvalersi di altri strumenti di protezione, spesso affidandosi al diritto d’autore e al codice della proprietà industriale. Tuttavia, negando la qualifica di opera intellettuale al diritto di immagine, la Corte di Giustizia Tributaria del Piemonte ha così privato i content creators anche di questo mezzo di tutela, generando una lacuna normativa nel settore dell’intrattenimento e della comunicazione.

Infatti, non si può negare che l’immagine dei sempre più numerosi influencers consiste in un vero e proprio strumento di lavoro che, se danneggiato, potrebbe provocare danni non solo morali ma anche economici, impedendo o rendendo difficile la loro attività lavorativa.

Dunque, se la disciplina del diritto d’autore non può essere estesa per attuare una concreta tutela dell’immagine di questi soggetti, ci si domanda se il legislatore interverrà al fine di introdurre nuovi e specifici strumenti di difesa a favore di tutti coloro che operano nella celebrity/influencer marketing.