Proprietà Intellettuale sui Meme

Chi di noi non ha mai ricevuto un’immagine o una fotografia di un personaggio (anche rinomato), accompagnata da una didascalia capace di strapparci un sorriso?

Ebbene, questi elementi vengono comunemente definiti “Meme”[1] ed hanno la capacità di diffondersi rapidamente sfruttando mezzi di comunicazione di massa.

Al di là della capacità comunicativa di tali Meme, c’è da domandarsi se gli stessi ricevano una qualche forma di protezione legale ovvero se siano da ritenersi di dominio pubblico e dunque liberamente utilizzabili dagli utenti del web. Per rispondere a tale quesito, è prima di tutto opportuno interrogarsi sull’inquadramento normativo dei Meme.

Come detto, il Meme non è altro che una rielaborazione in chiave ironica di un’opera originale (di norma fotografica) già protetta dal diritto d’autore. Ne deriva quindi che il Meme – se dotato del grado di creatività richiesto dalla legge sul diritto d’autore - può considerarsi un’opera derivata (ex art. 4 L. 22 aprile 1941 n. 633[2]), vale a dire un’opera creata sulla base di un’opera preesistente.

Tutto questo comporta che il titolare dei diritti sull’opera principale – quindi sulla fotografia o immagine creata - avrà il diritto di rielaborarla e di creare opere derivate, tra cui appunto i “Meme”, e di sfruttarle con fini commerciali.

Inoltre, sulla base delle considerazioni di cui sopra, chiunque avesse intenzione di creare e/o sfruttare commercialmente dei “Meme” dovrà previamente ottenere il consenso dal titolare dell’opera originaria e quindi richiedere una licenza dietro pagamento di un corrispettivo.

Ma allora c’è da domandarsi per quale motivo tali Meme circolano sul web e/o via Whatsapp liberamente e senza alcuna licenza?

Per quanto concerne l’Unione Europea, la risposta a tale quesito va ricercata nella direttiva europea n. 2019/790 sul diritto d'autore nel mercato unico digitale che ha l'obiettivo di armonizzare il quadro normativo comunitario del diritto d'autore nell'ambito delle tecnologie digitali e in particolare di Internet.

In particolare, l’art. 17, comma VII, di tale direttiva recita quanto segue: “(…) gli Stati membri provvedono affinché gli utenti in ogni Stato membro possano avvalersi delle seguenti eccezioni o limitazioni esistenti quando caricano e mettono a disposizione contenuti generati dagli utenti tramite i servizi di condivisione di contenuti online:

  1. a) citazione, critica, rassegna;
  2. b) utilizzi a scopo di caricatura, parodia o pastiche.”

Viene dunque espressamente previsto che gli Stati Membri possano usufruire ed applicare – entro determinati limiti – eccezioni che consentano la libera utilizzabilità di contenuti protetti dal diritto d’autore via internet.

La ratio del citato articolo è evidentemente quella di concedere una discreta libertà per gli utenti del web di poter condividere contenuti digitali, anche protetti dal diritto d’autore, con la sola condizione che tale utilizzo non abbia neppure indirettamente un fine / scopo di lucro, ma solo uno scopo satirico.

In Italia, il diritto di satira, pur non essendo espressamente contemplato dalla legge, ha trovato nel tempo diffusa applicazione in giurisprudenza[3]. Il Meme può, dunque, essere considerato quale espressione del diritto di satira che, tuttavia, deve essere esercitato entro un perimetro ben definito e cioè in totale assenza di scopo di lucro.

Questo in quanto il titolare dei diritti sul Meme detiene tutti i diritti di sfruttamento economico sull’opera stessa e, di conseguenza, può impedire a chiunque di ottenere profitti dal loro utilizzo. Non sono per questo motivo mancate le azioni legali promosse dai titolari dei loro diritti sui Meme, specialmente negli Stati Uniti[4].

In conclusione, in ragione della rapida evoluzione digitale e del mondo Internet cui stiamo assistendo, non può che essere accolto favorevolmente il descritto intervento del legislatore europeo che ha inteso facilitare lo scambio di contenuti tra gli internet- user e salvaguardare la loro libertà di espressione.

Tale direttiva europea sembra riuscita per il momento a garantire un giusto equilibrio tra la libertà di espressione degli utenti del web e la salvaguardia del diritto d’autore. Si auspica, a riguardo, che il legislatore nazionale segua tale direzione.

[1]I memi digitali sono contenuti virali in grado di monopolizzare l’attenzione degli utenti sul web. Un video, un disegno, una foto diventa meme quando la sua «replicabilità», che dipende dalla capacità di suscitare un’emozione, è massima.” Questa la definizione di “Meme” fornita dal Vocabolario Treccani. 

[2]Senza pregiudizio dei diritti esistenti sull'opera originaria, sono altresì protette le elaborazioni di carattere creativo dell'opera stessa, quali le traduzioni in altra lingua, le trasformazioni da una in altra forma letteraria od artistica, le modificazioni ed aggiunte che costituiscono un rifacimento sostanziale dell'opera originaria, gli adattamenti, le riduzioni, i compendi, le variazioni non costituenti opera originale.”

[3]  Cassazione n° 23144/2013: […] la satira costituisce una modalità corrosiva e spesso impietosa del diritto di critica e può realizzarsi anche mediante l’immagine artistica, come nel caso di vignette o caricature, consistenti nella consapevole ed accentuata alterazione dei tratti somatici, morali e comportamentali delle persone raffigurate. Si differenzia dalla cronaca per essere sottratta al parametro della verità in quanto esprime, mediante il paradosso e la metafora surreale, un giudizio ironico su un fatto, rimanendo assoggettata al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo perseguito. Nella formulazione del giudizio critico possono quindi utilizzarsi espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui, purché siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall’opinione o comportamento preso di mira e non si risolvano in un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione del soggetto interessato.”

[4] Si ricorda a tal proposito il caso di Pepe the Frog, un personaggio cartonato creato dal fumettista Matt Furie. L’autore intraprese un’azione legale nel 2014 nei confronti del sito web Infowars e al suo proprietario per aver utilizzato l’immagine allo scopo di realizzare Meme dallo sfondo sessista, xenofobo e addirittura razzista.


Non Fungible Tokens: un’occasione unica, ma per chi?

Da qualche mese a questa parte, c’è una questione che suscita grande interesse tra i professionisti della finanza, Youtuber e le più famose gallerie d’arte: gli NFT, acronimo per “Non Fungible Tokens”.

Per comprendere cosa sono gli NFT, è necessario preliminarmente partire dalla tecnologia che vi sta alla base, ovvero la blockchain.

In estrema sintesi, per blockchain si intende un database, quindi un insieme di dati organizzati secondo criteri determinati, costituito da “blocchi”, cioè sequenze di informazioni individualmente identificabili, che invece di essere immagazzinato in un unico server centrale è distribuito in repliche identiche sui terminali di chiunque abbia installato il relativo protocollo informatico.

Chi accede e partecipa alla blockchain, che è aperta e liberamente consultabile da chiunque, può vedere una serie di informazioni, espresse in forma di sequenze numeriche, che acquistano valore in quanto sono certe e pressoché inalterabili. Questo risultato è ottenuto attraverso diversi livelli di protezione, primo fra tutti il fatto che per alterare un singolo blocco è necessario “riprogrammare” in sequenza l’intera catena, il che è reso ancora più difficile dalla presenza di strumenti crittografici.

L’inalterabilità dei singoli blocchi di informazioni garantisce l’affidabilità delle transazioni che si realizzano scambiando i blocchi, senza la necessità di un ente esterno che le certifichi o approvi preventivamente.

È chiaro, dunque, perché questa tecnologia ha trovato un primo largo utilizzo nell’ambito della moneta elettronica: ogni transazione effettuata su blockchain viene infatti registrata nei singoli blocchi, senza timore di furti o manipolazioni e in perfetta trasparenza.

In questo contesto, gli NFT svolgono un’ulteriore funzione, cioè permettono di trasferire la certezza attribuibile ai singoli blocchi della blockchain a contenuti informatici di diversa natura, come immagini, video, GIF. Invece di scambiare qualcosa di simile ad una moneta, che esprime un certo valore ma che può essere scambiata indifferentemente, grazie agli NFT è possibile trasferire un bene appunto infungibile (si pensi ad un pezzo da collezione).

È evidente il vantaggio che può avere una tecnologia che elimina la necessità di lunghi controlli per stabilire l’autenticità di un’informazione o contenuto digitale, soprattutto se si considera l’importanza che tuttora rivestono le banche dati digitali gestite da enti pubblici.

Perciò, alcuni artisti affermati e altri soggetti notori hanno iniziato a mettere in vendita sulle piattaforme digitali a ciò dedicate propri video, creazioni artistiche di vario genere e perfino semplici tweet, “trasformandoli” in NFT.

Il riscontro del pubblico è andato oltre ogni aspettativa, permettendo di realizzare ingenti ricavi, talvolta anche milionari[1]. In cambio, gli acquirenti hanno acquisito la titolarità di quel frammento di video, immagine etc..

Gli NFT sembrano quindi introdurre un nuovo orizzonte di possibilità per il mondo della produzione artistica, perché sono in grado di garantire nel mondo digitale, che per sua stessa definizione è un mondo di copie identiche e riproducibili a piacimento, l’esistenza di un unico originale inalterabile nel tempo.

Grazie agli NFT, i creatori di contenuti dispongono quindi di una fonte di guadagno e di uno strumento di facile utilizzo che permette loro di dimostrare la paternità delle proprie opere e allo stesso tempo di trasferirne il diritto di titolarità in capo ad altri soggetti.

Un ambito in cui gli NFT vengono già utilizzati è quello del gaming online, dove viene reso possibile ai giocatori acquistare armi o altri oggetti “unici” da utilizzare o scambiare durante l’attività di gioco. Ma è ragionevole ipotizzarne un ampio utilizzo anche nel diritto industriale, basti pensare alla possibilità di utilizzare tale strumento per dimostrare il preuso di una macchina industriale e invalidare un brevetto altrui, trasformando in NFT il relativo video di YouTube che costituisce la prova inalterabile e inattaccabile della divulgazione anteriore del macchinario sul mercato.

Vi sono però alcuni profili da approfondire e tenere in considerazione per quanto concerne tali strumenti.

Innanzitutto, l’autenticità e la titolarità del contenuto degli NFT si basano a loro volta su dichiarazioni dei soggetti interessati, che in linea di principio dovrebbero esserne gli autori o comunque i titolari, ovvero i licenziatari, dei diritti di sfruttamento economico dell’opera. Allo stato, quindi, a garantire la trasparenza circa tale effettiva titolarità, chiedendo agli utenti di registrarsi, sono le piattaforme che permettono di eseguire le transazioni, ma in linea teorica chiunque potrebbe creare un NFT che incorpori un contenuto digitale di titolarità altrui. Non vi è dunque alcuna attività di verifica a monte sull’effettiva titolarità del bene che l’utente intende trasferire mediante gli NFT. Circostanza dalla quale potrebbero scaturire contenziosi circa l’effettiva proprietà del contenuto trasferito.

Appare inoltre necessario che venga da subito chiarito il regime fiscale cui sono soggetti tali strumenti (specie per quanto concerne le eventuali plusvalenze ottenute dalle successive vendite tramite NFT), prima che diventino uno strumento di largo utilizzo nel mondo artistico.

Infine, va considerato un ulteriore profilo che riguarda segnatamente i diritti dei consumatori ed infatti quest’ultimi, dopo aver effettuato l’acquisto, non hanno la possibilità di tornare sui propri passi esercitando il diritto di ripensamento che, come noto, è previsto per gli acquisti effettuati a distanza (tra i quali rientrano naturalmente quelli online).

A parere di scrive, aldilà dell’euforia – a tratti propriamente speculativa – che si è creata attorno a questi nuovi strumenti, gli NFT rappresentano effettivamente una potenziale svolta nella nostra vita ed in particolare con riferimento a tutti quei servizi e beni che presuppongono e necessitano di una certificazione dell’autenticità delle informazioni e contenuti digitali, quali ad esempio titolarità, provenienza, diritti di utilizzo temporaneo.

Tuttavia, perché questo strumento diventi largamente utilizzato, è necessario, da una parte, che le piattaforme introducano e garantiscano un sistema efficiente di controllo circa la titolarità del bene ceduto per evitare possibili dispute in merito e, dall’altra, che il legislatore “scenda” in campo per introdurre specifiche garanzie per l’acquirente (quale appunto il diritto di ripensamento) e comunque una disciplina organica ad hoc (che preveda, tra le altre cose, un trattamento fiscale adeguato alle caratteristiche dello strumento).

[1] Famoso il caso dell’artista Beeple, che ha venduto attraverso la casa d’asta Christie’s la propria opera “Everydays: The First 5000 Days” al prezzo di oltre 69 milioni di USD, oppure quello di Jack Dorsey, il fondatore di Twitter, che ha venduto il primo tweet della storia per 2,9 milioni di USD.