Si sente spesso parlare di “smart contract”, ma non è sempre chiara l’utilità e gli ambiti di applicazione dei medesimi.
Partiamo col dire che, in breve, lo smart contract non è altro che un protocollo di operazioni computerizzato che esegue i termini e le condizioni di un contratto. Lo scopo di tali strumenti è quello di automatizzare e semplificare alcuni processi.
Si pensi ad esempio al caso delle polizze assicurative per eventuali ritardi dei voli aerei; normalmente, al verificarsi dell’evento assicurato (i.e. il ritardo), l’assicurato deve rivolgersi alla compagnia assicurativa al fine di ricevere, all’esito dell’istruttoria e salvo contestazioni, l’indennizzo previsto con tempi variabilmente lunghi.
Lo scopo dello smart contract in questo caso è quello di automatizzare il processo di denuncia del danno e liquidazione dell’indennizzo. In concreto, assicurato e assicuratore negoziano i termini del contratto (ad es., la gravità del ritardo, l’entità del ristoro, etc), e poi traducono le clausole negoziate in istruzioni informatiche (algoritmi), che vengono “attivate” in maniera automatica al verificarsi dell’evento. Semplificando, l’indennizzo arriverà dunque automaticamente sul conto dell’assicurato non appena l’informazione relativa al ritardo dell’aereo verrà registrata dallo smart contract.
Tuttavia, affinché lo smart contract realizzi l’effetto di automaticità ricercato, è necessario che venga comunicato il verificarsi dell’evento dedotto in contratto, vale a dire il ritardo dell’aereo. Senza questo fondamentale passaggio, infatti, le clausole non potrebbero attivarsi e resterebbero solamente una linea di codice su un dispositivo isolato. Proprio per tale motivo, l’affidabilità della fonte di informazioni cui viene legata l’esecuzione delle clausole è un aspetto cruciale nella fase di negoziazione tra le parti, poiché una volta selezionata non sarà più possibile contestarne l’affidabilità e l’imparzialità nel corso del rapporto.
Una volta che la fase di negoziazione si è conclusa, si pone poi il tema della correttezza dell’implementazione dello smart contract e della sua verificabilità. Per diverso tempo, infatti, la diffusione su larga scala di questi strumenti è stata frenata dalla mancanza di un terzo intermediario che certificasse l’effettiva rispondenza delle linee di codice – la cui scrittura è necessariamente affidata ad un tecnico – alla volontà delle parti, così come l’inalterabilità delle istruzioni nel tempo e la loro pronta verificabilità da tutti i soggetti interessati. Questa funzione, che nei contratti tradizionali è svolta da figure come avvocati e notai, i quali garantiscono con il proprio operato l’ufficialità di quanto pattuito e la tutela degli interessi dei propri assistiti, di per sé è estranea al mondo degli algoritmi.
Quanto sopra, tuttavia, è cambiato con l’avvento della blockchain. Quest’ultima, infatti, è un registro di informazioni raggruppate in “blocchi” che è quasi impossibile alterare e che è accessibile potenzialmente a qualunque soggetto interessato a verificarne il contenuto.
Inserendo lo smart contract in un blocco della catena tramite il versamento di una “commissione” in criptovaluta, si realizza dunque il duplice risultato della verificabilità delle informazioni inserite (che quindi vengono sottratte all’esclusiva sfera di controllo del programmatore) e della certezza di tali informazioni, che non possono essere alterate e manipolate ad insaputa di una delle parti. In sostanza, la blockchain svolge la funzione di un notaio digitale, archiviando e cristallizzando la volontà delle parti al momento della stipula del contratto. Successivamente, al verificarsi dell’evento ivi dedotto, i c.d. “oracle” – blocchi che servono a trasmettere le informazioni provenienti dal mondo alla blockchain – lo comunicano al contratto registrato, il quale eseguirà le istruzioni per cui è stato programmato.
Oltre al campo assicurativo, altri ambiti in cui questi strumenti possono trovare applicazione sono l’M&A – si pensi ad esempio alla possibilità di ottenere immediatamente l’accredito delle somme presenti su un conto escrow al verificarsi dell’evento dedotto nell’atto di acquisizione – nonché l’ambito finanziario, dove il grado di informatizzazione è già molto elevato e dove le informazioni rilevanti già vengono scambiate attraverso applicazioni informatiche che hanno un effetto immediato sul valore dei titoli. A titolo di esempio, il verificarsi di un evento bellico in un dato Paese provoca quasi contestualmente un crollo del valore dei relativi titoli di stato, così come le dichiarazioni dei presidenti delle banche centrali vengano immediatamente registrati dal sistema finanziario risollevando o deprimendo l’andamento della borsa internazionale nell’arco di una giornata.
Dagli esempi riportati sopra si intuisce l’indubbia utilità degli smart contract in taluni ambiti, sebbene sia ancora allo stato prematuro affermare che essi sono destinati a sostituire i contratti “tradizionali”.
Questo perché non tutte le clausole di un contratto possono essere applicate e interpretate attraverso automatismi (si pensi alle clausole che rinviano agli usi), né tutti i contratti prevedono obbligazioni che possono essere eseguite da un computer. Basti pensare alle clausole che subordinano il rinnovo del contratto al superamento di un periodo prova – necessariamente legato anche a valutazioni di natura personale non sempre codificabili ex ante – ovvero ad eventi di forza maggiore che per loro natura non possono essere disciplinati ab origine.
A ciò si deve aggiungere che non è ancora chiaro come sia possibile modificare uno smart contract che contenga degli errori o che non corrisponda più esattamente alla volontà delle parti, specie dal momento della sua registrazione su blockchain. Il paradosso che si verrebbe a creare in tali casi sarebbe l’esecuzione automatica e potenzialmente “infinita” di un assetto di interessi non più gradito agli stessi contraenti. Anche tale aspetto rende poco probabile che gli smart contract possano essere utilizzati per regolare ad esempio rapporti di durata, proprio perché l’intrinseca incertezza collegata al mutare delle condizioni nel tempo risulterebbe incompatibile con la determinazione ex ante di ogni possibile conseguenza contrattuale.
Ferme tali importanti considerazioni, c’è tuttavia da evidenziare il grande vantaggio in termini di abbattimento dei costi di transazione che una diffusa adozione di questa innovazione tecnologica può portare. Questo soprattutto in tutti quei casi dove le esigenze da soddisfare non richiedono una complessa negoziazione; non è quindi inverosimile che gli smart contract inizino ad essere implementati in tutti quei casi dove le parti prediligono la rapidità e la certezza dell’esecuzione automatica di un’obbligazione rispetto alla rinegoziabilità o alla flessibilità del rapporto.
In conclusione, non è in discussione l’utilità e il risparmio economico che si possono ottenere attraverso l’utilizzo degli smart contract. Certo è che, come spesso capita per qualsiasi innovazione tecnologica, tali vantaggi saranno concretamente percepiti solo quando vi sarà una significativa integrazione e adozione nella nostra società di tali strumenti.
Sin d’ora è possibile però affermare che gli smart contract troveranno ampio spazio e applicazione specialmente con riferimento a quei rapporti standard dove è richiesto un contributo minimo in termini di creatività e personalizzazione delle soluzioni contrattuali.
Sotto diverso profilo, una concreta sfida per i professionisti del diritto potrebbe essere quella di saper integrare tali strumenti all’interno dei contratti tradizionali al fine di migliorare e potenziare l’efficacia della tutela legale garantita. Questo sì potrebbe essere un obiettivo realmente “smart” da raggiungere.